La direttiva 36/2005 (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, pubblicata su Gazzetta Ufficiale dell’UE 30.09.2009) e successive modifiche, stabilisce le condizioni per poter esercitare le professioni nei paesi europei.

Ci si riferisce alle attività libero-professionali per lo svolgimento delle quali i singoli stati prevedono requisiti specifici, quali il titolo di studio, il tirocinio ed il superamento di un esame abilitante.

Ci si riferisce anche alle attività di tipo industriale, artigianale e commerciale in cui può essere richiesta una determinata esperienza lavorativa. In sintesi l’impostazione della Commissione Europea era che tutti quelli che fossero in posesso di una abilitazione utile allo svolgimento di una determinata professione nel proprio paese UE, potessero svolgere automaticamente l’attività in tutti altri paesi.

Questa impostazione è stata poi modificata a favore di un sistema che prevede la possibilità di un controllo della professionalità da parte del paese ospitante.

Allo stato dell’arte i ministeri di alcuni stati europei, tra cui l’Italia, ostentano ritrosia a voler riconoscere le professioni conseguite in altri stati europei, ponendo in atto un atteggiamento ostativo al riconoscimento automatico previsto dalla Direttiva Europea. Certo è che la Legge Europea prevale i comportamenti ostativi posti in essere dai singoli stati, sta appunto al singolo cittadino far valere i propri diritti di cittadino della Comunità Europea.

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